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Rivista SIPsA

Quaderni di Psicoanalisi & Psicodramma Analitico

Sito ufficiale Rivista SIPsA

Cari colleghi e cari lettori,

è davvero con grandissimo piacere che mi appresto a fare quello che spero sia, per voi tutti, un dono presentandovi una novità per me davvero importante e carica di significato: la nostra rivista, cioè la rivista ufficiale della S.I.Ps.A. «Quaderni di Psicoanalisi e Psicodramma Analitico» che, finalmente, siamo riusciti a mettere on line.
L’avevo già affermato nel numero del 2004: il nostro è un cammino che, come tutti i percorsi, a volte è semplice, in pianura e, aggiungo oggi, anche in discesa (a dire il vero solo ogni tanto!), ma per lo più è accidentato e anche un po’ in salita.
Ma a noi piacciono le sfide e quindi andiamo avanti perché crediamo nell’enorme importanza che lo Psicodramma Analitico riveste nel campo clinico innanzitutto come particolarissimo metodo terapeutico, poi come utilissimo strumento per la formazione degli psicologi, degli psicoterapeuti, dei medici degli infermieri e delle professioni d’aiuto ed, infine, impareggiabile metodica per quell’importante prassi rappresentata dal lavoro della supervisione.

Con queste parole, pubblicate nella presentazione del primo numero della rivista “Il corpo dello psicodramma analitico” del luglio 2009, il Direttore Responsabile Fabiola Fortuna faceva conoscere al pubblico il progetto “Quaderni di Psicoanalisi & Psicodramma Analitico”, frutto di un intenso e appassionato lavoro di ricerca e diffusione dello Psicodramma Analitico da parte dei membri della SIPsA.

Archivio Rivista SIPsA: “Quaderni di Psicoanalisi & Psicodramma Analitico”

Inconscio

Anno 15 – N. 1/2 – Dicembre 2023

Presentazione

Questo rivista si apre con un breve articolo di Marie Noelle Gaudé, una psicoanalista e psicodrammatista francese che, amando l’Italia, ogni tanto ci fa regalo di sue preziose riflessioni.

Questo suo lavoro è dedicato alle specificità del sogno nello psicodramma. Cosa di più essenziale in un intero numero dedicato all’inconscio?

«Il sogno è la via regia per l’inconscio… ecc, ecc» tutti conoscono l’affermazione di Freud il “titolare” dell’inconscio.

Molti degli articoli sono di appartenenti alla SIPsA, la Società Italiana di Psicodramma Analitico, che sono professionisti del giocare con l’inconscio. Credere nel gioco dello psicodramma per far emergere le formazioni dell’inconscio, come le definisce Lacan nel suo perenne dialogo con Freud, e permettere così ai pazienti di entrare in contatto con la propria soggettività in modo “altro”, rispetto alle sedute individuali di psicoanalisi. Sono questi, in sostanza, il senso e la funzione di questo prezioso dispositivo.

«Il gioco, come il teatro, realizza l’incarnazione di un testo: lo psicodramma mette il corpo in moto, mentre il sogno in analisi rimane immobile», questo ci dice M.N.Gaudé nel suo incisivo articolo.

Il modo “altro” è anche l’approccio che vogliamo avere nell’accogliere contributi di chi, pur non appartenendo alla società di psicodramma, ci offre importanti considerazioni sull’inconscio.

Perciò incontreremo nella lettura contributi di psicoanalisti di varie appartenenze e, in numero considerevole, di psicologi analisti che nella loro attività hanno scelto di dare ascolto all’altro grande “titolare” dell’inconscio: C. G. Jung.

Nelle sezioni dedicate al campo dell’Altro, al cinema (Trailer) e alle recensioni altri spunti di riflessione che si rifanno più o meno direttamente all’inconscio.

Per chiudere la sezione dedicata alla Giornata di Studi SIPsA, «Il gioco e le sue funzioni nella cura» che si è tenuta lo scorso 23 aprile a Roma.

Che altro dire sull’inconscio?

Lasciamoci guidare in questo “ambiente” di lettere e parole da cui l’inconscio si struttura e attraverso le quali la nostra soggettività prova ad emergere.

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Il tempo nella cura

Anno 14 – N. 1/2 – Dicembre 2022

Presentazione

«Cura nell’attraversare un fiume, vide del fango argilloso, lo raccolse pensosa e cominciò a modellare un uomo; […] mentre stava osservando ciò che aveva fatto, arrivò Giove. Cura gli chiese di dar vita alla statua e Giove la esaudì, ma quando Cura volle dargli il proprio nome, Giove glielo proibì e disse che doveva dargli il suo».

La controversia viene messa a tacere da Saturno:
«Lo si chiami uomo perché è fatto di
humus».
L’uomo, in questo “mito” di Igino è creato da Cura, una divinità minore dell’Olimpo che ha bisogno dell’aiuto di Saturno,
Chronos secondo i latini, per uscire da una diatriba e poter così arrivare a nominare l’uomo.
Cura e tempo appaiono quindi indissolubilmente uniti in un rapporto di reciprocità, fin dalle origini della civiltà occidentale.
Ancora oggi, nel prenderci cura dell’altro rinnoviamo l’antico legame. Nell’attraversare queste pagine, incontreremo il significante
tempo (insieme ai suoi derivati) per circa seicento volte, associato via via agli aggettivi più vari e utilizzato per costruzioni logiche disparate.
Comunque il filo conduttore
tempo, appare sempre nella clinica. La questione tempo si affaccia sia nello svolgersi della cura – c’è una richiesta, una domanda, un inizio attraverso i colloqui preliminari e poi una cura vera e propria – sia nel dipanarsi della trama delle parole che testimoniano della vita dei nostri pazienti. Le cause dei sintomi sono nel passato, ma è un passato che continua a operare nel presente e che fa apparire il futuro come preoccupante. «Potrò lasciare – con il passar del tempo – il mio sintomo?», ci chiedono i pazienti, più o meno apertamente. E quando – con il passar del tempo – arrivano (se arrivano) a chiedere a se stessi se potranno lasciare il loro sintomo, possiamo pensare di aver diretto la cura in modo etico.
In questo numero, oltre alle pagine dedicate alla teoria e alla clinica, troveremo la sezio
ne Il campo dell’Altro con alcune proposte, la sezione Trailer e le recensioni, come di consuetudine da molti anni a questa parte. Ma proponiamo anche una nuova sezione dedicata alla pubblicazione di interventi presentati durante le Giornate di studio SIPsA di quest’anno.

Ora mi fermo, dopo queste brevi considerazioni sulla dimensione esistenziale tempo per dire, con Lacan che «su ciò che non si può dire, vale la pena di scrivere» (Il Seminario, Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante, 1971).

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Attualità del Perturbante

Anno 13 – N. 1/2 – Dicembre 2021

Presentazione

Un Invisibile e tenacissimo organismo si è insediato nelle nostre vite e le ha sconvolte. Ci sono quotidiani e tragici dati di realtà che riguardano malattia e morte e poi c’è il mostro brutto dell’immaginario che ha catturato le nostre esistenze in modo totalizzante. Come tutti sanno questo mostro si chiama covid-19 ed è un virus che imperversa ormai da 2 anni. I legami sociali si sono alterati e l’altro della realtà si è trasformato in un potenziale e perenne pericolo di contagio. Anche noi, lo siamo, in quanto altro per l’altro. Questa esperienza rappresenta un perturbante che ha coinvolto l’umanità intera e ha stravolto abitudini, comportamenti e prassi. Anche la nostra, di praxis terapeutica, è stata condizionata al punto che i setting sono stati necessariamente trasformati creando un senso di disorientamento, spaesamento che abbiamo vissuto all’interno dei nostri studi e/o delle istituzioni.
Anche questo numero della rivista è segnato della esperienza della pandemia, inevitabilmente. In molti ci raccontano cosa è avvenuto in noi, nei pazienti, di come si siano create tante situazioni perturbanti e di come abbiamo provato ad affrontarle.
Mai questo termine, tanto mirabilmente usato da Freud nel suo testo del 1919, è stato così opportunamente trattato e analizzato come in questo momento storico in cui viviamo ormai costantemente in modo spaesante ed estraniante. Ma in fondo il perturbante da sempre entra nelle stanze di terapia, quando meno ce lo aspettiamo. E noi che dirigiamo la cura siamo lì, in attesa guardinga, pronti per affrontarlo. Altri articoli parlano proprio di questo.
E, particolarità, nel campo dell’Altro stavolta si è insinuato un articolo perturbante in quanto tratta altre questioni di tipo diagnostico, ma che, frutto di una giornata di studi, abbiamo scelto perché regalo importante.
La rivista chiude con le sezioni trailer e recensioni in cui si trovano testi e film anch’essi sulla stessa linea dell’estraniamento, dello spaesamento.
Scriviamo ancora una volta per far circolare le parole per noi importanti e, come sempre, salvifiche.

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Forme dell’isteria

Anno 12 – N. 1/2 – Dicembre 2020

Presentazione
In un periodo segnato da una terrifica irruzione del Reale, rappresentata da un invisibile organismo che può attaccare prepotentemente il nostro, di organismo e in cui ci sentiamo trascinati verso la ricerca di prove di realtà, seppur ontologicamente impossibili, la nostra rivista affronta il tema dell’isteria.
Non è esagerato affermare che l’isteria è l’origine della psicoanalisi.
Gli studi risalgono indietro nel tempo a Charcot, a Janet, fino alla strutturazione logica e linguistica che ne dà Freud e che marchia a fuoco il destino della psicopatologia.
I primi studi sull’isteria di Freud e Breuer si basano sull’ascolto e il trattamento di donne che presentano sintomi particolari, hanno “disturbi di conversione”.
L’isteria continua a presentarsi, nella clinica, con forme moderne e post-moderne. I disturbi di conversione hanno lasciato spazio anche ad altre sintomatologie che possiamo vedere, con Lacan, come indicative del “desiderio di un desiderio insoddisfatto”.
È di questo che si argomenta in queste pagine, in cui gli autori trattano dal loro punto di vista teorico i sintomi e i disagi dei loro pazienti, dei loro gruppi.
Chiudiamo questa presentazione con le parole di Freud:
«Ma se dice Lei stesso che il mio male si collega probabilmente alla mia situazione e al mio destino: a quelli Lei non può certo recare alcun mutamento. In quale maniera mi vuole allora aiutare?».
«Non dubito affatto che dovrebbe essere più facile al destino che non a me eliminare la Sua sofferenza: ma Lei si convincerà che molto sarà guadagnato se ci riuscirà di trasformare la Sua miseria isterica in una infelicità comune. Contro quest’ultima, Lei potrà difendersi meglio con una vita psichica risanata».
Proviamo a sorridere…

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Simboli e immagini nell’era digitale

Anno 11 – N. 1/2 – Dicembre 2019

Presentazione
Questo numero è dedicato ai fenomeni individuali e collettivi che emergono in questa nostra epoca, contrassegnata in modo incisivo, quasi totalizzante dall’uso dei social media.
I giovani, definiti nativi digitali, vivono in quest’epoca apparentemente quasi senza la necessità di imparare ad usare queste nuove modalità di comunicazione ed espressione. Infatti pare abbiano una capacità innata di utilizzare tutto ciò che di mediatico e tecnologico entra a far parte del loro mondo. Ma molti di noi, invece, hanno dovuto imparare, ed anche con fatica, ad operare con questi nuovi mezzi e a comunicare secondo queste nuove modalità.
Le relazioni ed i legami sociali, che riteniamo siano invece molto complesse da costruire, oggi si manifestano in nuove forme di tipo virtuale in modi che forse ancora non si comprendono appieno. Social network, chat, mail possono diventare anche strumenti “pericolosi” in quanto possono essere mezzi di truffa e inganno per coloro che, in modo inavveduto e ingenuo, si affidano ciecamente all’Altro.
Tali modalità altresì, possono essere, invece, usate in modo proficuo anche nella psicoterapia (come nel caso di sedute “a distanza”, o per quanto riguarda la videoarte che viene messa al servizio della cura).
Non possiamo negare i cambiamenti che, inevitabilmente, arrivano nei nostri luoghi di lavoro e di cura, ma, senza cedere a facili inganni, senza trascurare la nostra etica.
Il soggetto di cui noi ci occupiamo nella clinica è sempre il soggetto del desiderio e, come tale, è fondamentale non corra troppo il rischio di essere sommerso dal bisogno, dal collettivo, dal vuoto.

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Il Trauma. Crisi, sintomi, cure

Anno 10 – N. 1/2 – Dicembre 2018

Presentazione
«Una complessa teoria del tempo, della memoria e della verità» (Beneduce R., Archeologie del trauma, Laterza, 2010 p. 46) è quella che la psicoanalisi ha elaborato sul concetto di trauma.
Un concetto che, a partire dalle prime intuizioni di Freud, si è via via articolato verso una sua soggettivazione. Si ritiene oggi, a seguito dell’esperienza clinica, che non esistano eventi traumatici in senso oggettivo; tuttavia nel corso di questi articoli emergono sempre storie e situazioni che parlano di vessazioni psicologiche e di violenze fisiche individuali e collettive, di abusi, di migrazioni, guerre e sofferenze sociali.
Quindi, seppure le modalità di rispondere agli eventi della vita sono assolutamente personali, c’è qualcosa dell’ordine del Reale che appare e riappare in queste storie umane.
«Vi è dunque un’infinità di differenze che, prese insieme, sono costitutive dell’universale del genere umano» (E. Roudinesco, Perché la psicanalisi?, Editori Riuniti, 2000, p.141).
Parlare del dolore è importante, serve potersi soffermare proprio su quella parola che cura e su ciò che da quel dolore può prodursi, almeno parzialmente, attraverso una sua elaborazione.
Questa è la forza della psicoanalisi che, mai come rispetto a questa tematica, si pone come possibilità di «ridurre il peso dei sacrifici pulsionali imposti agli uomini: riconciliarli con i sacrifici ai quali per necessità devono continuare a sottostare e indennizzarli di ciò» (Freud S., L’avvenire di un’illusione, Opere, vol. x, p.437)

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Perversioni

Anno 9 – N. 1/2 – Dicembre 2017

Presentazione
Quest’anno usciamo con una nuova veste grafica e trattiamo un argomento molto complesso: Perversioni.
Quali idee e conclusioni si ricavano – ammesso che in questo campo si possa ad un certo punto delineare qualcosa di definito una volta per sempre – a leggere questo numero della rivista?
L’unica certezza è che il termine non può che essere declinato al plurale, soprattutto nella nostra attualità.
È solo da poco più di 100 anni che furono pubblicati i primi studi sistematici sulle aberrazioni sessuali, Psychopatia Sexuali” di Krafft Ebin e Study in the Psychology of Sex di Havelock Ellis, con il duplice scopo di studiare le aberrazioni sessuali come oggetto di studio psichiatrico, nonché di formulare una nomenclatura delle perversioni.
Questi lavori furono poi di ispirazione a Freud per la sua teoria della libido, che infatti ne mutuerà alcuni concetti come l’“onnipotenza” della sessualità nel comportamento e nel pensiero umano, nonché la coesistenza di livelli sia primitivi che adulti nella sessualità medesima.
Freud riprenderà svariate volte nel corso del tempo la questione della perversione, correlandola all’evolversi del suo pensiero teorico tratto dall’ esperienza clinica.
Lacan poi verrà ispirato dalle riflessioni di Freud sul feticismo, pur prendendone subito le distanze, per affrontare anche lui il tema della perversione; considerandola, al pari della nevrosi e della psicosi, come una delle possibilità di strutturazione soggettiva.
Dopo Lacan, la psicoanalisi si è occupata relativamente della perversione, potremmo dire quasi con circospezione, poiché l’argomento stesso sembra avere il potere di mettere in crisi i clinici, come se li potesse tenere sotto scacco: sulla perversione sembra infatti che non ci sia la possibilità né di un movimento, né di un pensiero; la clinica più volte si è interrogata sul motivo della latitanza della psicoanalisi, considerandola correlata alla latitanza dei pazienti perversi rispetto all’analisi. Il paziente perverso, di fatto, sembra non vada in analisi perché non è in grado di formulare una domanda di cura, perché egli non avverte il disagio della sua condizione e, per di più, non tollera i limiti e le regole del setting.
In questi ultimi anni però si nota come sempre più frequentemente gli analisti si trovino invece di fronte pazienti che presentano evidenti tratti perversi.
Ci si trova costretti a porsi domande: ma come? Cosa sta accadendo?
Forse proprio il fatto che l’ attuale contesto sociale è troppo diverso da quello di un secolo fa: i grandi cambiamenti , economici, culturali, sociali, non possono non aver inciso sugli stili di vita con possibili ricadute anche sulla psiche umana.
La società dei consumi è una società che promette la felicità qui e ora: una felicità istantanea e perpetua, dove non sembra esserci spazio per un vuoto, una mancanza. Fin da bambini si viene abituati a colmare (o meglio, “ad essere colmati da”) ogni possibile desiderio, che in realtà però pare essere sentito per lo più come un vero e proprio bisogno.
In questa dinamica, si potrebbe dire, davvero perversa, il soggetto sembra perdersi, per diventare un semplice oggetto, manipolabile e quindi più facilmente controllabile.
Forse lo spaesamento della clinica nasce proprio dalla consapevolezza che ci si trova a dover fare i conti con soggetti che non aspirano, nemmeno inconsciamente, ad essere tali ma piuttosto a rimanere in questa condizione illusoria di completezza.
La dimensione etica della psicoanalisi che così, come insegna Jacques Lacan, privilegia il soggetto con una specifica attenzione a quegli aspetti trasformativi del processo di soggettivazione, risulta quindi, come dire, “fuori contesto”.
Si impone pertanto una riflessione seria e approfondita sui modi in cui sia possibile affrontare questa sorta di estraneità della clinica psicoanalitica a queste nuove diagnosi; “nuove” non tanto perché inedite quanto piuttosto perché appunto si affacciano molto più frequentemente alla porta degli analisti.
Il senso del titolo della rivista nasce quindi proprio da questa esigenza, e le risposte dei colleghi che con i loro contributi hanno reso possibile la composizione di un numero denso di contenuti, sembrano dimostrare che lo spaesamento, se di questo si tratta, può essere superato forse studiando, approfondendo, condividendo.

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Il romanzo familiare

Anno 8 – N. 1 – Dicembre 2016

Presentazione
Quello del romanzo familiare, oserei dire, è il cardine del nostro lavoro. Ogni giorno i racconti dei nostri pazienti, in gruppo e non, ci della loro storia familiare e dicono noi ci ritroviamo a lavorare continuamente il romanzo della loro famiglia, intendendo il romanzo nel senso propriamente Freudiano che è quello relativo non tanto alle vicissitudini ed alla storia vera e propria della famiglia di origine, quanto alle fantasie che si costruiscono su di essa.
La scelta di questo tema è dettata dal desiderio di soffermarci sulla clinica e anche di riflettere su come i nuovi modelli culturali riescano a incidere nella struttura sociale che è, oggi come sempre, fondata sulla struttura familiare.
Mi sembra doveroso – e anche molto bello (!) – aprire questo numero nuovo che tratta di una questione “antica” con un contributo di Elena Benedetta Croce (già pubblicato nel numero Famiglie in gioco, in Areaanalisi, nel 1998), nostra grande maestra di Psicodramma analitico e con le riflessioni di un eminente esponente della “psicanalisi” lacaniana in Italia e in Europa, Antonio Di Ciaccia.
Abbiamo anche inserito due articoli di due psicodrammatisti che ci hanno ormai lasciato: il primo di Serge Gaudé, l’altro, scritto insieme ad Elena B. Croce, di Eugenio Fieramonti, anch’essi pubblicati nello stesso numero di Areaanalisi. Entrambi hanno lasciato contributi importanti al nostro psicodramma.
In questo numero sono moltissimi gli articoli che trattano proprio dello psicodramma e ci sentiamo particolarmente orgogliosi di ciò. È una dimostrazione palese di quanto questo strumento sia più che mai attuale e efficace nella clinica.
Scrive Elena Croce, nell’articolo che troverete in questo numero: «[…] se lo psicodramma aiuta qualcuno a formulare domande che non ha potuto articolare nella famiglia non è perché costituisca una famiglia sostitutiva, ma in quanto offre al soggetto quello che anche una famiglia sufficientemente buona avrebbe dovuto offrire e cioè dei momenti di mediazione tra i rapporti primari e i rapporti sociali intesi nel senso più vasto».
È questa, tra molte altre, la motivazione della forza dello psicodramma? …. Il del suo segreto successo?
Troverete in questo numero anche articoli provenienti da altri ambiti sia del campo clinico: psicoanalisi (in tutte le sue sfaccettature), campo psichiatrico, psicoterapia sistemica. Anche nel “Campo dell’Altro”, in questo caso quello della pedagogia, è inserito un contributo su una ricerca condotta su famiglie multiculturali, ricerca dalla quale emergono le difficoltà di trovare un modello educativo condiviso. Nella sezione “Trailer”, l’analisi di due film. Il primo, Mountains May Depart di Jia Zhang-Ke, del 2015, che tratta una storia familiare intrecciata alle problematiche della nazione cinese. Il secondo è un vecchio film del grande regista Ken Loach, Family life, che mette in evidenza le contraddizioni di una famiglia degli anni 80 ed il suo contatto tragico con il mondo psichiatrico.
Abbiamo curato con particolare attenzione anche la scelta delle letture che sono state recensite e proposte in questi termini. Letteratura attuale e saggi ci permettono di puntare il su tutti focus gli aspetti delle nostre nuove famiglie.
Da tutti i contributi emerge chiara una nota: per poter a non possiamo non tenere dirigere la cur conto delle nuove forme di famiglia, lontane spesso dal modello tradizionale di padre – madre – figli, che ormai prendono piede anche nel nostro paese e nel nostro vecchio continente. In che modo influiscono e orientano la psiche e le sue “strutture cliniche”? Stanno cambiando le forme del pathos, e se sì, in che modo?

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Sulla Rappresentazione

Anno 7 – N. 1-2 – Ottobre 2015

Presentazione
Questo che mi accingo a presentare è un numero della rivista «Quaderni di Psicoanalisi e Psicodramma Analitico» un po’ particolare.
Particolare per vari motivi: perché esce contemporaneamente alla pubblicazione dell’edizione italiana del libro di Serge Gaudé sulla rappresentazione, che per il mondo dello psicodramma analitico è un’opera di grande significato, sia dal punto di vista teorico, sia da quello clinico. Inoltre un altro motivo di attenzione è dato dal fatto che questo numero uscirà appena poco prima del Convegno nazionale della SIPsA dedicato, appunto, al tema della rappresentazione, fungendo quindi da “introduzione” al convegno stesso.
L’intenzione è quella di comporre, a partire da una visione frontale, tipica dell’esperienza di realtà, una visione più “sferica” e comprensiva dei diversi significati con cui si può declinare il termine rappresentazione.
Nelle nostre sedute di psicodramma, dai singoli discorsi, portatori di un unico punto di vista, si delinea gradualmente una composizione corale in cui ognuno porta nel gruppo qualcosa di sé, lo mette in gioco, per raggiungere una migliore conoscenza di sé e delle proprie questioni soggettive. Analogamente, nella nostra rivista ogni relatore ha contribuito con la propria esperienza e relative riflessioni a comporre un volume che, ritengo, porti un contributo prezioso ai lavori del futuro Convegno e non solo.
La ricchezza e la varietà dei contributi dei colleghi ci fa guardare al futuro dello psicodramma con ottimismo, per quanto riguarda gli aspetti puramente clinici, confermandosi lo psicodramma un dispositivo dalle potenzialità incredibili. Al tempo stesso tale ricchezza ci pone anche una responsabilità, in quanto tenendo conto del difficile contesto sociale in cui si opera quotidianamente, noi tutti dovremmo sentire il dovere etico di difendere in ogni sede questa nostra “creatura” dai rischi di contaminazioni che ne snaturerebbero l’efficacia e la originalità.
L’esperienza ci mostra che l’“inquadramento” della “realtà” ha tutte le caratteristiche immaginarie di una visione frontale; definiamo così la visione di un occhio che sia spettatore e al tempo stesso apparato di proiezione di un’immagine su uno schermo posto di fronte.
Un tale inquadramento non può che riferirsi all’individuo in senso proprio, cioè a un soggetto non diviso e più in particolare all’istanza dell’Io costitutiva di un misconoscimento della posizione soggettiva cui essa si sostituisce immancabilmente. Qui entra in gioco la nostra pratica della rappresentazione, che giunge dopo una circolazione della parola tra le persone presenti. E’ poco frequente, per noi, metterein gioco direttamente, ad inizio seduta per esempio, l’evocazione verbale di un momentovissuto. La ragione di questo, desunta dall’esperienza, trova anche conferma nella dottrina.
La sfida dello psicodrammatista consiste nel raccogliere il “guanto della sfida” e considerare questa presentazione come un quadro futuro, ossia, con le parole di Lacan, come «la funzione in cui il soggetto deve ritrovarsi come tale». Da qui il suo inserimento successivo in un discorso nello spazio di una rappresentazione giocata, dove la questione del soggetto dovrà trovare il suo posto, lontano da quello dell’Io, che tuttavia è presente come riflesso nello specchio.
Che l’espressione della parola del soggetto avvenga in uno spazio di rappresentazione anche condiviso (vale a dire che questa posta sia sottratta all’Io del partecipante agli scambi di gruppo) ci sembra un’operazione che va nello stesso senso, e che produce effetti comparabili a quelli provocati dalla celebre ingiunzione fatta aFreud da una delle sue prime pazienti, che trattava con la suggestione verbale:
«Mi lasci parlare».
La paziente, grazie all’ assenso del giovane medico ed al silenzio che osservò da quel momento, inaugurò lo spazio della cura attraverso la parola. Far uscire chi ha parlato dal cerchio dei partecipanti, aprirgli uno spazio di rappresentazione,significa sottrarlo, per quel lasso di tempo, alla suggestione ed al circuito degli scambi: significa, di fatto, imporre all’uditorio il silenzio e l’astensione,come risposta alla richiesta del partecipante: “Fatemi dire, fatemi mostrare”.
A partire da quest’ultima caratteristica e secondo le proprietà del suo spazio, l’io può essere descritto come, figura topologica che illustra bene una separazione,una una sfera frattura tra un dentro ed un fuori e, al centro, la sostanza di ciò che sarebbe l’essere dell’io e che si irradia. Questa descrizione si adegua perfettamente a ciò chechiamiamo egocentrismo: la sfera deriva dalla rotazione circolare di un occhio postoin posizione regale, cioè centrale, che perlustra la scena del mondo e la tiene sotto ilsuo sguardo. L’Ego si mantiene così ad una distanza uguale dalle rappresentazioni e dalle immagini che la sua visione pur tuttavia taglia.
Questo dà la misura dell’onnipresenza del nostro io in ogni situazione in cui all’inizio la visione viene sollecitata. Poiché il nostro dispositivo richiede uno spiegamento visuale per la rappresentazione di una scena vissuta, non possiamo ignorare questa difficoltà.
Mi auguro che questa sia una occasione doppia, quella della rivista e quella del libro appena tradotto di uno dei maestri dello psicodramma, per dare slancio nuovo e forte a questa nostra pratica che ci permette di lavorare con passione raggiungendo traguardi importanti per la clinica ed ora, un po’ di più, anche per la teoria psicoanalitica.

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INciviltà. Simboli, immagini, parole

Anno 6 – N. 1-2 – Dicembre 2014

Presentazione
Tutti gli articoli di questo numero dedicato all’ in-civiltà trattano dello psicodramma analitico: questo è un fatto nuovo e anche singolare per questa rivista che si occupa, oltre che dello psicodramma, anche della psicanalisi. È anche assai particolare che di fatto il richiamo al “disagio” freudiano porti non tanto a dissertazioni teoriche sulle difficoltà dell’attuale crisi economica, sociale e di valori quanto piuttosto ad un possibile trattamento che tali difficoltà tramutano in sintomi. Possiamo, credo, seguitare ad asserire sempre con maggior consapevolezza e, perché no, anche determinazione ormai, che lo psicodramma analitico rappresenti una metodologia terapeutica sempre più efficace anche in relazione a questo preciso momento storico ed alle sue crescenti difficoltà esistenziali. Pensiamo,noi psicodrammatisti, che il gioco, così come da noi specificatamente inteso, contribuisca a fare dello psicodramma analitico uno strumento assai “potente”; uno strumento quindi che anche attraverso il dispositivo della rappresentazione della realtà rende possibile afferrare quel qualcosa che permetta al soggetto di entrare in contatto con un dubbio che non lo faccia restare impigliato nel suo sintomo e gli consenta, invece, di riprendere una strada per la verità.

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Crisi. Sintomi, cure

Anno 5 – N. 1-2 – Dicembre 2013

Presentazione
Usata e a volte anche abusata la parola crisi è stata scelta anche da noi come tema di riflessione per questo numero. A dire il vero abbiamo anche pensato che in tanti si sarebbero cimentati con questo argomento, se non altro per provare ad oggettivare un po’, a mettere in parola, a dare senso all’alone depressivo minaccioso che incombe sulla società e che nel quotidiano, in ricaduta, invade gli studi di noi psicoanalisti e psicoterapeuti che con una crisi, comunque, ci troviamo sempre a che fare. Avevamo ragione ed infatti questo numero è molto ricco di articoli di professionisti che da tante angolature diverse hanno affrontato in modi interessanti e stimolanti l’argomento. Krisis, in greco, in realtà significa scelta, giudizio; In giapponese la parola è composta da due ideogrammi: pericolo ed opportunità. È nostro desiderio presentare e rappresentare la crisi come movimento che, attraverso il giudizio e la scelta, e forse qualche pericolo, possa essere punto di passaggio per importanti cambiamenti; per offrire la fiducia in qualcosa di nuovo che può nascere. La nostra speranza è che la crisi possa arrivare al soggetto, portatore di sintomi “nuovi” che incidono profondamente la psiche ed il corpo, non come nemico temibile di un ideale equilibrio, ma alleata per un movimento di trasformazione verso la consapevolezza del proprio discorso. Ribaltiamo il senso della crisi e consideriamola un momento che permette il transito, attraverso i sintomi e le possibili “cure”, verso un nuovo modo di essere al mondo: un mutamento individuale che può riproporsi in modo creativo all’interno dei legami sociali.

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Solitudine e isolamento: patologie e sintomi

Anno 4 – N. 1-2 – Dicembre 2012

Presentazione
Mai come nel caso di questa nostra scelta tematica il piano della psicoanalisi e dello psicodramma si sono venuti ad intersecare con quello della filosofia e delle espressioni artistiche. Infatti quello della solitudine è un tema che investe l’esistenza umana e sul quale da sempre gli uomini dibattono e meditano. A chi, tra noi, non viene in mente il nostro sommo poeta alle prese con l’infinito e con le sue crisi esistenziali? In campo clinico c’è chi pensa alla solitudine come necessaria condizione umana. C’è chi invece la considera come sinonimo di isolamento e quindi più spostata sul versante patologico. La diversità di vedute comporta, evidentemente, diverse posizioni sia a livello di ipotesi diagnostica, sia nella “direzione della cura”. In questo nostro numero i lavori presentati seguono entrambe le impostazioni. Ancora una volta è, infatti, nostro intento offrire ai nostri lettori una visione multi prospettica dell’argomento che anche nel Campo dell’Altro viene trattato seguendo diversi aspetti culturali e disciplinari. Chiudono il numero la sezione Trailer e quella delle Recensioni.

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Il sogno in psicoanalisi e psicodramma analitico

Anno 3 – N. 1-2 – Dicembre 2011

Presentazione
Cosa dire in una presentazione di un argomento quale quello di questo nostro numero?
Ogni cosa potrebbe sembrare scontata o superflua e, quindi, vi dirò brevemente che troverete: articoli di autori importanti nel campo della psicoanalisi italiana (Croce Elena B. e Antonino Ferro); un contributo di una psicoanalista e psicodrammatista francese (Gaudé); un interessante lavoro di trade union tra neuroscienze e psicoanalisi (Pasini e Spiridiglioni); apporti di tutti noi che psicoanalisti e psicodrammatisti – funzioni per me imprescindibili – o psicoterapeuti, ogni giorno, lavoriamo con e sui sogni dei nostri pazienti (Fortuna, Vinci, Pietrasanta, Cecchetti-Cara, Leonori-Viviani); interventi di professionisti che operano in ambiti altri nel Campo dell’Altro (Leali e Allegretti, Bartolini, Brancaleoni).

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Il corpo in psicoanalisi e psicodramma analitico

Anno 2 – N. 2 – Dicembre 2010

Presentazione
Si tratta degli Atti del nostro convegno internazionale S.I.Ps.A. «Il corpo in psicoanalisi e psicodramma analitico»che si è tenuto a Roma il 6 e 7 marzo 2010. Per anni abbiamo pensato a questo Convegno sul tema del “corpo”, visto dalla prospettiva del campo in cui operiamo cioè quello della psicoanalisi e del nostro specifico psicodramma analitico. È stato un po’ come un sogno che poi si è realizzato. Sono certa che leggerete con passione questi scritti e anche coloro che non hanno potuto partecipare al convegno potranno constatare che le relazioni sono state di alto livello e significative. Il desiderio che ci ha animato nell’organizzare questo evento è stato quello di mettere insieme tanti punti di vista sul tema “corpo”, che rappresenta una delle questioni più controverse nel campo psicoanalitico. Vengono presentati lavori da psicoanalisti ed esperti di diverse impostazioni. Molti dei contributi sono portati da noi, membri S.I.Ps.A., che, nella pratica dello psicodramma analitico, ci troviamo spesso ad affrontare i problemi che riguardano il “corpo” e che si presentano in moltissime sfaccettature. Credo di interpretare correttamente il pensiero di noi tutti affermando che il comune sforzo affrontato è stato ampiamente ripagato dagli importanti e positivi esiti conseguiti attraverso questo convegno.

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Il romanzo nella formazione del desiderio della trasmissione

Anno 2 – N. 1 – Dicembre 2010

Presentazione
Apre il numero l’articolo di Elena Benedetta Croce, nostra decana, che racconta la sua esperienza di facilitatore in un gruppo di genitori di ragazzi tossicodipendenti all’interno di un’istituzione ad orientamento cognitivo-comportamentista. L’autrice riferisce di essersi scontrata, all’inizio del lavoro, con una sorta di diffidenza nei confronti della psicoanalisi, poi, però,attraverso il gioco psicodrammatico, sono emerse via via questioni che hanno facilitato un’apertura all’ascolto e alla messa in discussione di dimensioni inerenti una pretesa onnipotenza. L’Autrice prende spunto da questa esperienza per esprimere la sua idea circa il fatto che l’Altro e gli altri inevitabilmente ci trasmettono qualcosa che, inizialmente, appare come un’invasione estranea. Laura Scotti nel suo lavoro ci offre un’analisi delle aspettative spesso illusorie dei giovani sulla formazione, dal suo “osservatorio” privilegiato frutto di un’esperienza pluriennale come preside della scuola COIRAG. Nel suo lavoro, Stefania Picinotti, racconta attraverso due sogni le sue questioni che riguardano la formazione come un “transitare” guidato inevitabilmente dalle istanze inconsce. In uno dei sogni ci sono una vecchia maestra ed un bambino che sembrano estremamente significativi del passaggio generazionale che è argomento complesso e spesso doloroso. Mauro De Angelis nel suo contributo, invoca l’importanza di una formazione non esclusivamente ad opera di un “formificio” ma che possa quindi essere un continuo porsi e porre “quesiti, riflessioni, critiche”. In questo ambito viene da lui considerato di fondamentale importanza lo strumento del cartel che consente di andare oltre la formazione nel senso che permette di vivere desideri comuni attraverso la formazione di transfert di lavoro, nella “condivisione di un’opera comune”. Nelle considerazioni di M. Gabriella Petralito viene data una “lettura metaforica” dell’arrivo in Italia dei fondatori dello psicodramma analitico freudiano e dell’esordio di questa “creatura meravigliosa”. L’Autrice propone poi un interessante confronto, citando Paul Lemoine, tra il mettere/mettersi in gioco dello psicodramma con il Fort-Da prima attivazione della parola nel campo del linguaggio ed altre interessanti raffronti riguardano gli studi di Aby Warburg, storico dell’arte, e le concezioni della psicoanalisi. Il lavoro di Renato Gerbaudo si articola in modo complesso intorno alla funzione dell’analista che si esplica nell’atto analitico. La trasmissione viene presa in considerazione dall’Autore seguendo anche il discorso presentato da Lacan al IX Congresso EFP. Giovanni Angelici con il suo articolo pone il tema della formazione attraverso lo psicodramma analitico come possibilità di lavorare come soggetti di parola per accedere al desiderio di essere analisti. Utilizza un’immagine di Botticelli, un Tondo, che offre una“spaccatura visibile tra due spazi” e che dà lo spunto per elaborare un paragone del quadro con un doppio sistema di pensiero. Passare dall’immaginario al simbolico rinunciando al primato dell’immagine per lasciare spazio a quello della parola. Chiude questo numero il breve contributo della scrivente che ha voluto fare un omaggio ad alcuni dei suoi formatori, incontrati sia nei libri che nella realtà, e anche un regalo a quello che oggi ci ascoltano, provando a passare preziose perle di saggezza che, a sua volta, dagli stessi suoi formatori ha ricevuto

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Il corpo nello psicodramma analitico

Anno 1 – N. 1-2 – Luglio 2009

Presentazione
Le relazioni della giornata sono tutte guidate dal fil rouge del corpo nei suoi rapporti con la psiche. Nel primo articolo, il mio, ho voluto far emergere consistenti ed esistenziali quesiti: qual è il corpo della psicoanalisi e in che modo si differenzia dal corpo della medicina? Quali sono le influenze della psiche nello scatenarsi delle malattie organiche?
Coniugare psicoanalisi e studi di Panikkar, quindi ispirati ad una filosofia che si apre anche modelli di pensiero orientali, per illustrare in che modo il corpo è simbolo dell’essere vivente è lo scopo dell’articolo di Cecchetti. Il lavoro di Tagliaferri prende le mosse da un interessante caso clinico per analizzare un aspetto fisico particolare: quello della voce e delle sue possibili corporeità. Nell’articolo di Pani, l’Ego, regista delle relazioni tra corpo e mente, viene considerato una “estensione del SNC” e quindi si tributa grande importanza alle esperienze corporee infantili, talvolta drammatiche (come risulta dai casi clinici presentati), per il successivo costituirsi di problemi psichici. I corpi delle anoressiche aprono l’articolo di Carnevali, Bruno, Errani, Gibin per raccontare di un disagio profondo nel processo di soggettivizzazione che produce gravi effetti sul corpo tanto da produrre, simbolicamente, immagini di “corpi armadio”. Lo psicodramma analitico, tra tanti tormenti, permette a queste adolescenti di entrare in contatto con i loro problemi psichici, nascosti dalle sofferenze fisiche. Ultimo, l’articolo di Gerbaudo si fonda sulla teoria di Lacan e, in particolare sull’elaborazione che ne fa Soler, per dire che il sintomo è sempre un evento del corpo, spinto dal reale della pulsione ed affrontabile grazie allo psicodramma che permette al soggetto di costruire un legame sociale per affrontare il suo desiderio. Nella seconda parte della rivista sono riportate le osservazioni emerse dalle attività esperienziali, che si sono svolte nel corso della giornata, condotte con lo psicodramma analitico che, ripeto con grande convinzione, rappresenta lo strumento principale e preziosissimo di tutti noi che abbiamo percorso un lungo “viaggio” per diventare psicodrammatisti.

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