Nello sviluppo del bambino assistiamo costantemente a trasformazioni che impongono una nuova definizione tra ciò che era prima e ciò che è, in attesa di ciò che sarà. Il corpo che si trasforma e cresce impone queste tre dimensioni, sincroniche che altro non sono che le relazioni simboliche tra il bambino e l’immagine che di se stesso si va formando attraverso la parola di chi lo ha desiderato, la madre e il padre. Il corpo del bambino si esprime attraverso bisogni che l’altro deve poter soddisfare, bisogni primari e affettivi ma anche attraverso la definizione di desideri che fanno di lui un soggetto.
Ci dice F. Dolto, che l’immagine del corpo infantile “si struttura in un rapporto di linguaggio con gli altri. Inizialmente e fondamentalmente con la madre o la figura che la sostituisce.” (1) Tale immagine non può che essere molteplice: strutturale, genetica e relazionale. La percezione narcisistica permette di integrare i frammenti del corpo in un’unità che fa riferimento a un corpo che riposa, a un corpo che respira, a un corpo che desidera di vivere strutture della immagine corporea che è dalla nascita e che si trasforma con la crescita. Durante le trasformazioni parti del corpo saranno scelte come rappresentanti dei processi legati al piacere-dispiacere e alle diverse fluttuazioni dinamiche di tali processi. Così dalla dimensione statica si passa a una rappresentazione del corpo dinamica dove la tensione si contrappone alla quiete favorendo il passaggio all’investimento erogeno di parti del corpo.
“L’immagine dinamica collega le tre precedenti e corrisponde al desiderio di essere e di perseverare in un futuro”(2) La Dolto afferma che “un’immagine del corpo sana può coabitare in uno schema corporeo malato. Dipende da come si parla alla persona con handicap”(3).
Nel lavoro di polivisione svoltosi c/o lo Studio Nuovi Percorsi tra insegnanti, psicoterapeuti, neuropsichiatri dell’età evolutiva e terapisti della neuro e psicomotricità, il 31 marzo 2017, nella sede di via Borelli 5 a Roma, è stato interrogato il lavoro clinico che un corpo infantile, uscito da una malattia genetica, pone alla medicina come alla psicoterapia. Quel corpo da sempre definito e ridefinito dalla medicina ha segnato lo sviluppo relazionale del bambino facendolo crescere in un discorso a tre tra la medicina, lui e la madre. La nosologia medica ha cementato la coppia madre bambino, allontanando la funzione di legge della parola paterna. La medicina, essenziale nella vita del bambino, ha sostituito quel che la F. Dolto ha definito la “castrazione simboligena” quel processo cioè che sostituisce il corpo a corpo madre-figlio con il simbolo dato dalla parola, con lo spazio mai colmabile di desiderio che si esprime attraverso i processi linguistici in cui si struttura la relazione. Un bambino può desiderare così tanto la propria condizione di assistito dalla madre e dai medici tanto da limitare la propria crescita. Ciò lo insegna il lavoro di F. Dolto così come lo abbiamo potuto osservare nel lavoro discusso durante due ore nel doppio setting neuropsichiatrico prima e in gruppo di psicodramma analitico poi.
Quando la medicina esce di scena, o prova a farlo, il set psicoterapeutico avverte tutta la mole di responsabilità, nel traghettare la coppia madre-figlio verso una dimensione simbolica. In questo viaggio la certezza della nosologia medica viene desiderata dalla psicoterapeuta, in quanto sa che dovrà affrontare un viaggio verso l’ignoto, in cui lei stessa dovrà proporsi come agente dei processi di separazione e simbolizzazione interrotti dalla malattia organica del bambino. In questa cornice l’incertezza coinvolge anche la neuropsichiatria che deve permettere alla madre il riconoscimento della svolta clinica, tanto attesa quanto impossibile da riconoscere, da consegnare a un padre periferico nello sviluppo del bambino. Concludo con l’osservazione che come sempre viene letta al termine delle due ore di lavoro, redatta dal dott. Giuseppe Preziosi, augurandomi il Vostro contributo per il prossimo incontro che si terrà il 28 aprile dalle ore 18,30 alle 20,30.
“Seminari di non competenza,
(perché integrare vuol dire che qualcosa mi manca).
Il bambino ancora non maturo da nascere, cosa ne dice?
Cosa dice della frattura tra parola e corpo,
del corpo che parla ciò che la parola non dice,
neanche quella scritta dalla medicina,
del padre, della madre, che scrivono
hanno scritto il suo nome
e lo iscrivono su certificati e diagnosi.
Un corpo in remissione
un po’ come un intrattenimento
mentre ancora non si può dire.
L’ingessatura si è trasformata
in tessitura di un tantissimo di tutto
tagliato e cucito intorno a lui.
Dobbiamo imparare a raccontare la frattura
come elemento d’interruzione
della solita trama da manuale, detta malattia.
La rappresentazione sembra aprire una faglia
nella posizione della mamma
pietrificante e pietrificata
dalla malattia.
Le carte in tavola sono morte
perché le carte sono sempre le stesse
nonostante lo scambio,
regola di un gioco che si è persa
nella ripetizione.
Provo a prendere una nuova carta dal mazzo
ma va a finire che è un altro specchio
perché senza taglio non si uccide medusa.
Ricordiamoci che il padre è fatto fuori
e Perseo fu aiutato da Atena
nata dalla mente di Zeus.
(1) 2001 – E. Cocever, prefazione a “L’immagine inconscia del corpo” Bompiani p. 12.
(2) Idem p. 11
(3) Ibidem