Possiamo individuare tre passaggi nella formazione allo psicodramma analitico così come si è costituita nella tradizione della SIPsA.
La partecipazione come “semplice” paziente ad un gruppo detto “di base”, un gruppo terapeutico condotto attraverso la tecnica dello psicodramma freudiano.
Secondo passaggio, la frequentazione di un gruppo detto “di secondo grado per svelare il desiderio che sottende la propria domanda di formazione, il gruppo che si riunisce ad intervalli regolari per quattro sedute di lavoro. Il tempo e lo spazio sono scanditi in due sedute la mattina e due il pomeriggio. Una coppia dei partecipanti, animatore e osservatore, «giocherà» nelle prime due sedute, un’altra coppia nelle altre due. Ognuno sarà così animatore e osservatore del proprio mettersi in gioco, di fronte all’ascolto dei terapeuti del gruppo, investiti della domanda di funzione didattica^(2). Ci si dispone, come al solito, in cerchio: per ognuno c’è il tempo di animarsi, il tempo dell’ascolto ed il tempo dell’analisi del terapeuta tra una seduta e l’altra, il tempo della riflessione.” (Mele e al. 1988, pag. 12).
Il doppio passaggio, da ruolo di analizzante a ruolo di analista, permette al soggetto di sperimentare il proprio punto cieco nella conduzione, nell’ ascolto, nell’osservazione e nel proprio dire. Non si tratta quindi dell’apprendimento di una tecnica, ma di una esperienza che riguarda il desiderio soggettivo dell’analista, quella “faglia”, che ha che fare con il proprio inconscio, che risuona nell’ascolto dell’inconscio dell’altro. Punto dello svelamento di tale “macchia cieca” non è solo la scelta delle scene giocate durante le sedute, l’ascolto, la costruzione dell’osservazione e la successiva elaborazione tramite la rappresentazione di una “scena-rivelazione” proposta dal didatta ma anche il tempo del proporsi come conduttore della seduta, la possibilità di mettersi nel posto della analista, il tempo del “animo io”, della parola che si fa atto soggettivo, la parola che viene rischiata nel gruppo, in un atmosfera di silenzi, occhiate, attese, tentennamenti caratteristici di questi momenti.
“Il didatta in silenzio, ha assistito alla conduzione della seduta da parte dei due «giocatori», vegliando dal di fuori: ha esercitato la funzione di eco di gruppo, testimone in diretta, che sostiene per i «giocatori» anche il loro transfert di lavoro, riconoscendo e garantendo la possibile dialettica per colui che sta indagando il suo desiderio di analista di accedere al gioco dell’ambiguità […] il didatta […] può uscire dal silenzio per interrogare le modalità che hanno permesso di far accedere la verità mettendola in scena, insistendo soprattutto nel rimaneggiamento della rivelazione e della esplicitazione del desiderio che sottendono quella passione che dovrebbe dare un senso a tutta la formazione analitica” (Mele e al. 1988, pag.12-13)
La posizione del didatta, una posizione di “sparizione”, ha lo scopo di sottrarsi alla proiezioni ideali dei partecipanti e di svelarne così la natura soggettiva. È inevitabile infatti, in un percoso formativo, la rincorsa ad un ideale, in questo caso dello di “psicodrammatista ideale”, fantasma che deve essere costantemente messo in discussione.
Il gruppo di formazione di secondo livello rappresenta un percorso di emersione di una identità soggettiva che si realizza attraverso una serie di “perdite”, un ripercorrere la storia delle proprie identificazioni a partire dall’infanzia, ricontattare la nachtraglickeit freudiana, rinunciare alle identificazioni imitative con formatori, didatti, analisti, figure familiari arcaiche. ” accedere a un progetto proprio significa rinunciare all’ onnipotenza infantile, guardare le proprie ferite, essere soli con se stessi che implica la funzione di responsabilità dei propri gesti, la responsabilità della propria collocazione nel mondo, ragionare in termini di futuro[…] lo svegliarsi dalla dimensione gruppale sollecita una riflessione su se stessi, sui propri limiti, sulla propria libertà, sulle proprie possbilità anche se decurtate irrimediabilmente dell’onnipotenza. Il gioco di risposta sarà infatti che « bisogna perdere qualche cosa», non si può tenere tutto dei propri progetti, e forse si tratta anche di intravedere dietro le figure mitiche dell’infanzia una incapacità e una cecità […] l’individuo si costituisce individuo, come parte del gruppo, ma con una sua particolare fisionomia e autonomia, allorchè affronta l’esame di realtà che gli denuncia senza infingimenti e confusioni che egli è separato, è nato come uomo autonomo e riflettente ” (Di Bella e Torti 1988, pag. 69-71).
Per Elena Croce, il gruppo di secondo livello è comunque un gruppo di terapia, dove oltre il discorso, l’ascolto e il gioco ( come nel gruppo di base) diviene oggetto di analisi anche la presa di posizione del soggetto, per il tempo della seduta, del posto del conduttore o dell’osservatore ( Croce 1985). Il doppio movimento da analista a paziente, ha anche la funzione, per chi durante la seduta resta nella posizione di paziente, di confrontarsi ” non certo con il «soggetto supposto sapere» o con una figura idealizzata o idealizzabile in modo stabile, ma con qualcuno le cui manchevolezze diverranno oggetto del principale interesse della seconda parte della seduta quando il lavoro analitico si concentrerà su ciò che emerge dagli interrogativi, dai problemi lasciati aperti dall’animazione e dall’osservazione”. (Croce 1985, pag. 30)”Si può anche scoprire che il proprio destino porta altrove, si può cioè trovare un diverso modo di essere. Infatti formarsi vuol dire ri-scoprire il proprio desiderio, tentare sempre di più di sollecitare o provocare la propria vocazione, con un processo di ricerca delle proprie scelte e l’assunzione personale delle scelte stesse” (Catalano e Davy 1988, pag.17)
Terzo passaggio^ (3), conclusasi l’esperienza del gruppo di secondo livello, è la supervisione della clinica, attraverso lo psicodramma analitico. Un piccolo gruppo di psichiatri, analisti in formazione, psicologi, accumunati dalla prospettiva analitica del lavoro clinico, si incontra per “lavorare” sui alcuni casi che ciascuno di loro tratta o individualmente o in gruppo, attraverso la “supervisione” di due didatti esperti che occupano alternativamente la posizione del conduttore e dell’osservatore. “Il lavoro che si tenta di fare qui, in sede di supervisione, consiste appunto nel far sì che il trauma dell’impatto con il materiale che emerge nel corso del rapporto terapeutico, da occasione di rimozione, di inibizione o magari di destrutturazione, si recuperi, per quanto possibile, come momento di rinnovamento e riscoperta delle proprie risorse di cui momentaneamente si è perduto la disponibilità”. ( Croce 1985, pag. 47)
Il lavoro di supervisione naturalmente non procede verso la trasmissione di una serie di nozioni o tecniche, nè nella direzione dell’emersione di soluzioni e rimedi, ma ” in questa situazione di continua messa in questione delle identificazioni e delle rappresentazioni non fa meraviglia se sono destinate a cadere assai rapidamente tutte le illusioni o aspettative che il supervisione, o altri nel gruppo, possa agire in maniera in qualche modo diretta per rimendiare ciò che può essere presentato o percepito come inadeguato”. (Croce b 1985, pag.56).
Nel lavoro di supervisione viene portato il proprio «campo» di ascolto ” assunto, per quanto è possibile, nel «campo» di ascolto del supervisore e in quello di ciascuno dei colleghi che sono presenti e si trovano ad ascoltare, secondo le loro attuali disponibilità e capacità”. (Croce 1988, pag. 24).
Note
(1) in questo lemma dell’abbecedario ci occupiamo di come, tradizionalmente, è stata definita la formazione allo psicodramma analitico nella società italiana di psicodramma analitico (SIPsA) aldilà delle regolamentazioni ministeriali e alle modifiche recenti dovute alla sua appartenenza alla scuola COIRAG. ( Scotti, 2010)
(2) l’appellativo « di secondo grado», con cui è designato il gruppo di formazione, sarebbe pertanto da intendersi […] non tanto nel senso di un livello più elevato per accedere al quale vi sia una sorta di promozione, benché un preliminare lavoro analaitico su di sé ( gruppo terapeutico di base) sia necessario, bensì nel senso di un lavoro terapeutico a due livelli, di cui l’ uno diretto, quando si è nella posizione di pazienti, l’altro rivolto nei confotni del terapeuta della seduta di formazione…” (Di Bella E., Torti R. 1988 pag. 66)
(3) Alla conclusione del gruppo di secondo livello, come ulteriore elemento di formazione, l’analista ha la possibilità di rientrare in gruppo di base come osservatore terzo, cioè affiancare due psicodrammatisti esperti ma senza sperimentarsi nella conduzione, ma solo nella posizione dell’osservatore, in una prima fase silente e in seguito proponendo la sua osservazione al grupo al termine della seduta. ( Callea, in Croce 1985) – “l’ osservazione di gruppi terapeutici comporta anzitutto un’astinenza implicita nella funzione che mette l’allievo come osservatore di fronte all’antitesi tra esigenza di capire e quella di ascoltare, tra le ragioni della padronanza e quelle della sorpresa, derivante dalla risonanza inconscia prodotta dai discorsi degli altri“. (Gerbaudo 2014 pag. 153)
Bibliografia
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