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INCONTRO DI POLIVISIONE – “Centro Didattico Aletheia SIPsA e Studio Nuovi Percorsi”

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INCONTRO DI POLIVISIONE – “Centro Didattico Aletheia SIPsA e Studio Nuovi Percorsi”

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Il Centro Didattico Aletheia di SIPsA e lo Studio Nuovi Percorsi di Roma organizzano l’ Incontro di Polivisione su piattaforma Zoom per il giorno 14 Maggio dalle ore 19.00 alle 20.30

Lo scorso incontro di Polivisione del 23 aprile 2021, ci ha messo in contatto con un  mondo adulto sordo e cieco che espone la bambina ad un trauma senza parole. Il  contenuto del trauma, celato dall’inganno e serbato nel segreto, fa cadere nel buco  dell’invisibile, l’incomprensibile che si scrive però sulla pelle dell’infanzia femminile e  diventa sintomo impossibile da leggere.  

La bambina, divenuta adulta, cerca le parole che possano essere ascoltate, che  producano un suono riconoscibile per trasformare il dolore e l’angoscia in uno spazio  di vita. 

Di una stanza si dice che è sorda quando le pareti assorbono bene il suono. Ciò che  assorbe non permette di sentire? Se qualcosa arriva all’orecchio lo fa perché non ha  posti in cui sparire. Il suono è un’energia che non si crea e non si distrugge, può solo  cambiare forma. Assorbire vuol dire non sentire. Ma si può ascoltare? Serve un mezzo, 

come l’aria, perché il suono si mantenga e venga udito ma se questo mezzo manca, il  suono si affievolisce fino a scomparire. L’aria è un elemento solo apparentemente  vuoto, in realtà è uno spazio che sostiene e non fa cadere la parola, è senza il superfluo,  non costringe ma veicola e accoglie. 

Il terapeuta è forse un po’ come l’aria: non riempie lo spazio di cose proprie, non forza  il paziente a dire ma resta pronto ad ascoltare e accogliere ciò che prende forma di  seduta in seduta. Durante l’incontro di Polivisione si è presentificato all’ascolto dei  partecipanti un dialogo al femminile nel quale si cerca di articolare parole piene e  scongelare emozioni bloccate dall’esposizione ad una oscenità che sporca sia chi la  compie sia chi la subisce.  

L’etimologia della parola osceno è dubbia ma le due più plausibili ipotesi etimologiche rimanda al verbo latino ob-scaervare (ob + scaervus = sinistro), cioè portare cattivo  augurio, oppure al latino ob = a cagione di + coenum = fango, melma, sporco e, in  senso lato, senza pudore, disonesto.  

Se parlato tra due donne diventa denuncia, rimette distanza tra gli “oscenati” con  l’introduzione di un terzo, la legge. 

Il poter dare parole all’evento traumatico, permette di smascherarlo e portarlo fuori  da sé attraverso il linguaggio; una “scrittura” che si fa esterna al corpo e per questo  leggibile, pensabile.  

Quando le parole, prima di essere tali, sono segni incisi in profondità, masticati,  nascosti, mistificati, esperiti senza poter essere compresi, di quale mezzo hanno  bisogno per essere ascoltate? C’è stato bisogno di ordire quel dolore in una trama che  fosse accettabile per poterne parlare, per dare aria al suono e farlo vibrare limitando  l’onda d’urto su di sé. E se in questo incessante lavoro di traduzione, l’assorbimento  fosse stato tale da non permettere al suono di essere udito? Le pareti assorbenti sono 

molteplici: quelle di chi parla tra paura, vergogna e senso di colpa, portando nel  discorso tutto lo sforzo per essere altro dalla ferita, quelle di chi ascolta con le proprie  orecchie e i propri discorsi che si accavallano al resto e poi la stanza, luogo sospeso  che custodisce suoni, fantasmi, segni e sintomi. Di quanta aria c’è bisogno perché  quattro orecchie, due bocche e due storie possano dare spazio e ascolto a ciò che viene  detto o non detto?  

Una rivoluzionaria street artist Afghana, Shamsia Hassani, rappresenta volti di donna  senza bocca e con gli occhi chiusi, per dare voce alle donne che non ne hanno per  cultura, religione, politica.  

La bambina, ora donna, non ha avuto modo di portare alla luce il suo grido, la sua  narrazione perché non c’era qualcuno in grado di ascoltare il suo silenzio e ha iscritto  in sé l’esperienza che porta oggi nella stanza di terapia. Esistono lingue diverse in cui  ogni comunità si esprime ma il linguaggio può essere universale perché porta con sé  un messaggio che può essere compreso oltre le parole. Bisogna, però, portarlo fuori e  pulirlo dal fango e dalla malignità dell’oscenità per non identificarsi con esso.  

 dott.ssa Silvia Brunelli   dott.ssa Milena Ciano