In una seduta di psicodramma l’Io ausiliario è colui che viene scelto dal paziente/protagonista per “giocare” un ruolo (madre, padre, amico, fidanzata, ecc.) nella scena che si intende rappresentare.
“Bastano pochi tratti significativi per rimettere in movimento gli automatismi di ripetizione del protagonista […] questo consente all’attore principale di misurare la distanza tra il personaggio che egli rivive e quello che il suo vicino incarna. Quando è in grado di sentire di vivere nel suo corpo – il ruolo dell’altro, la distanza che lo separava da lui si annulla e l’angoscia d’essere l’altro scompare. Si tratta solo di identificazione” (Lemoine, Lemoine, 1972, 84-88).
Gli io ausiliari, alla lettera, sono coloro che “fanno transitare e rendono manifesto qualche tratto dell’oggetto del partecipante” (Gaudé, 1998, XXVII).
Possiamo considerare l’io ausiliario figura della prossimità – il Nebenmensch, l’essere umano prossimo – come descritto da Freud nel Progetto per una psicologia del 1895. “Supponiamo – scrive Freud- che l’oggetto che fornisce la percezione sia simile all’oggetto, cioè un essere umano prossimo. L’interesse teorico (suscitato nel soggetto) si spiega anche in quanto un oggetto siffatto è stato simultaneamente il primo oggetto di soddisfacimento e il primo oggetto di ostilità, così come l’unica forza ausiliare. Per tale ragione è sul suo prossimo che l’uomo impara a conoscere”. (Freud, 1895, 235).
Prossimo non è quindi il Simile, figura dell’intersoggettività immaginaria, ma prossima al primo oggetto di soddisfacimento, all’Altro, all’alterità, tanto più importante in quanto l’alterità non è mai del tutto assimilabile, catturabile. Ha sempre in sé uno scarto, fonte di conoscenza che l’io ausiliario ben si presta a incarnare.
Bibliografia:
Freud S. (1895), Progetto di una psicologia. O.S.F., vol. 2. Bollati Boringhieri, Torino1989.
Nasio J.-D. (1988), Spiegazione di 7 concetti cruciali della psicoanalisi. Edizioni scientifiche Ma.Gi, Roma, 2001.