Scrittura

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La scrittura in alcune declinazioni dello psicodramma costituisce lo strumento di elezione dell’osservazione.
Durante la seduta il terapeuta nella posizione di osservatore raccoglie il dispiegarsi del discorso di seduta, i giochi, i doppiaggi e parallelamente scrive quella che sarà l’osservazione letta al termine della seduta stessa.
In essa la scrittura è elemento sostanziale.
La lettura posta al termine dell’incontro pone aprés coupe un elemento di unità alla seduta stessa e al suo discorso. Non si tratta di nominarne la trama ma di darne conto, di rivelarne le tracce, consiste nel porre un confine legando insieme i discorsi e i giochi e chiudendo il giro, rivelando il cardine attorno cui si sono articolati. La sua funzione è quella di messa in prospettiva degli elementi presenti nel copione e nella rappresentazione, il partecipante che porta con sé l’immagine ideale di se stesso può allontanarsi e ritornare al suo punto di vista fino ad arrivare alla possibilità di uscirne.  
Si potrebbe parlare di un movimento triadico messo in atto l’osservatore nello psicodramma.
Tre momenti di un passaggio dialettico. 
Osservazione, scrittura, lettura. 
Occhio, tratto, voce.

Scrittura, Lettera e traccia

La scrittura è legata al tema della traccia e della lettera.
Il tema della lettera attraversa gli scritti Lacaniani, pensiamo a La lettera rubata (pubblicato nel volume Scritti), al Seminario libro V e infine a Lituraterre che apre il volume Altri scritti.
“La lettera -dice Lacan- è il supporto materiale della logica significante” (L’istanza della lettera dell’inconscio pubblicato in Scritti). Il supporto materiale è la mancanza, la disgiunzione tra significante e significato, è la sbarra che fa sì che un significante non possa che rimandare a un altro. Ma la lettera è anche significante d’eccezione, o meglio meno uno. E’ ciò che arresta e orienta la catena significante e nel far ciò localizza, incarna quella disgiunzione, quella mancanza che la fonda”. Pensare le cose in questi termini -scrive Pagliardini- ci permette di cogliere l’altra lettera presente negli Scritti: La lettera rubata. Qui abbiamo la celebre definizione, senz’altro criptica, della lettera come ciò che manca al suo posto.
“La raccolta Altri Scritti (pubblicata in italiano nel 2001) si apre con il testo Lituraterre che marca il passaggio da una lettera che può essere rubata, sottratta, trafugata a quella che Lacan ci mostra essere piuttosto una lettera velata: dalla lettera rubata (volée) -scrive Bonazzi- alla lettera velata (voilée). Il salto non è privo di conseguenze, tale passaggio comporta che si impari a tacere parlando, bisogna parlare e all’interno della parola riuscire a preservare il silenzio.”
Ciò che conta nella lettera è la funzione di taglio, l’incisione scritturale.
Nella scrittura dell’osservazione nello psicodramma, assistiamo al passaggio dalla lettera come traccia -ciò che può essere cancellato (il rimando è a Lacan seminario V Le formazioni dell’inconscio) alla lettera come incisione. Non si tratta di un taglio che rivela il reale al simbolico.
Ciò che conta nel taglio della lettera è il vuoto scavato dalla scrittura (Lituraterre). Non ciò che si manifesta, ma ciò che nel manifesto si nasconde.
“Nello scritto Lituraterre Lacan parla del significante non già come una catena ma come una nube informe, in essa si produce uno squarcio e dalla sua rottura piove. Tale rottura provoca la caduta del materiale che lo costituisce, il quale causa erosione della terra, incisione, marchiatura di quel che possiamo chiamare reale grezzo. La lettera è proprio questa erosione, dunque l’effetto dell’incontro tra la pioggia, acqua, e la terra, tra l’alluvione significante e il reale grezzo dell’essere vivente.” 
“L’incisione a sua volta è una cancellatura, si elimina un pezzo di terra attraverso la precipitazione, si produce erosione sopprimendo la terra. Ecco allora spuntare la traccia nell’intimo intreccio con la lettera. Anche qui dunque una cancellatura, ma cancellatura di nessuna traccia che sia prima. Perciò non è più la traccia a essere eliminata, ma la cancellatura stessa che si fa traccia”. 
“La scrittura è nel reale l’erosione dilavante del significato, ossia ciò che è piovuto dal sembiante in quanto costituisce il significante. La scrittura non ricalca il significante, bensì i suoi effetti di lingua, ciò che ne viene forgiato da parte di chi parla.” (Lacan Lituraterre).
Si tratta di prestare attenzione al solco che la traccia crea.

Scrittura e gesto

La scrittura nello psicodramma è gesto che crea un campo.
Un gesto è ciò che istituisce qualcosa, che lo fonda, che lo fa esistere e al contempo, in questo qualcosa che fonda e che fa esistere, il gesto medesimo non è mai presente come uno dei termini del qualcosa istituito. Come il gesto di tracciare un limite: esso istituisce un campo, ma allo stesso tempo non sarà uno degli elementi del campo istituito.”
C’è necessità di un punto fuori campo affinché si costituisca il campo. 
La scrittura è un gesto che costituisce costantemente il soggetto attraverso il tratto (cancellatura), il taglio (frattura), il marchio (incisione), mai una volta per tutte. Il gesto che istituisce il campo del linguaggio è la cancellazione.

Scrittura e montaggio 

La scrittura nell’osservazione è rifiuto di una comprensione assimilatrice, cioè di quell’attività che riunisce il diverso nell’uno e riduce l’altro al medesimo.
La scrittura è come il testo poetico nelle parole di J. Winterson “quel non detto che è il gemello silenzioso della storia” (Winterson 2012, p. 44).
“E’ dispersione e in quanto tale trova la sua forma, come scrive Blanchot (1969, 435) […] una volta distrutti tutti i legami interni ed esterni, in ogni parola sorgono di nuovo tutte le parole, non le parole ma la loro presenza che le nasconde, la loro assenza che le chiama – non le parole, ma lo spazio che, nel loro apparire e sparire esse designano come mobile spazio dell’apparizione e della sparizione”.
La parola scritta nell’osservazione rimanda e crea uno spazio altro che richiama lo spazio di gioco.
La scrittura che non è ripetizione del vissuto ma è qualcosa d’altro che supera il vissuto stesso in quanto è legata all’invisibile del mondo, rinuncia al suo fine rappresentativo e diviene infinita. La scrittura non è lo strumento di una mediazione che ha come scopo la rappresentazione di un certo significato, ma è essa stessa evento.
La differenza tra scrivere e narrare esiste dal momento che scrivere è anche non parlare. È tacere, è urlare senza rumore. La narrazione non si dissolve ma appare nel movimento del suo rarefarsi. Al centro della narrazione vi è l’indicibilità della storia.
La scrittura dell’osservazione in psicodramma è anche il bel rischio di cui parla Foucault nello scritto del 2011, rischio che il prendere parola comporta, necessità di parlare da una posizione, quella dell’osservatore, che diviene prendere posizione per abbandonare la neutralità.
“Per sapere bisogna prendere posizione -cosi scrive G. Didi-Huberman (2009, 33) – niente di semplice in un simile gesto”. 
Allo stesso modo potremmo dire non vi è niente di semplice nel taglio che l’osservazione comporta, nella scelta che ogni parola implica, nel duplice sguardo di ciò che viene detto e ciò che si lascia cadere.
“Prendere posizione significa collocarsi almeno due volte, su due o più fronti che ogni posizione comporta, perché ogni posizione è fatalmente relativa. Vuol dire ad esempio, affrontare qualcosa; ma davanti a questa cosa, bisogna tener conto di tutto ciò a cui volgiamo le spalle, al fuori campo dietro di noi, che forse rifiutiamo ma che, in larga parte, condiziona il nostro stesso movimento e, di conseguenza la nostra posizione.” (Didi-Heberman 2009, 33).
La scrittura si rivela movimento interrogante, del soggetto e del terapeuta, si tratta di guardare con le parole (Petrosino 1979, 12).
La parola dell’osservatore scritta e letta poi al termine della seduta, scompone e ricompone la seduta per offrirla alla rifrazione dello sguardo di chi ascolta.
I singoli giochi, i doppiaggi, le parole dell’animatore e suoi punti ciechi, il racconto del soggetto, sono riposizionati in un montaggio alternato che apre a una nuova narrazione.
Il testo dell’osservazione, quasi come testo poetico, si riconosce a causa dei suoi effetti. Tali effetti derivano dalla composizione e dall’intreccio di tutti gli elementi della lingua e sono slegati rispetto alla funzione significante del linguaggio.
Se la mancanza di un ordine conosciuto provoca, in chi legge, un senso di perdita, il ritmo
delle parole, che sono state accostate le une alle altre creando l’effetto di una metonimia, donano musicalità al testo. Si tratta di un ordine altro da quello utilizzato per la scrittura narrativa: è un ordine che si affida alla capacità che hanno le parole di risuonare.
La parola nell’osservazione si fa essa stessa immagine costellazione di punti luminosi, costellazione di significanti.
E’ anche attraverso l’osservazione che le immagini dei giochi prendono posizione: l’osservazione opera un montaggio di quel “girato” che è la seduta.
L’operazione che essa mette in atto ha a che fare principalmente con tre elementi: il tempo, l’immagine e la parola.
Il tempo è il tempo di seduta, il tempo del soggetto, il susseguirsi dei giochi, l’atemporalità dell’inconscio. E’ anche un lavoro sul tempo che sovverte l’ordine temporale di ciò che è accaduto in seduta per anticipare o posporre creando così una temporalità nuova che si avvicina alla temporalità inconscia, incurante delle contraddizioni e della linearità.
L’immagine è il frammento di ricordo portato, il gioco messo in scena, le associazioni successive, l’immagine acustica della parola. Essa –l’immagine- rappresenta la storia alla luce della sua memoria più repressa e dei suoi desideri più inconsci” (Didi Hubermann 2009, 148).
La parola, pietra angolare del racconto, doppiaggio, atto interpretativo, lapsus, significante che colloca e spiazza.
Il taglio della parola scritta è il taglio sulla pellicola del montaggio di altri tempi: una scelta irrevocabile, una responsabilità di direzione.
L’osservatore lavora ad un montaggio ex post che si intreccia a quello che l’animatore fa in seduta con la scelta dei giochi, una conferma ma a volte anche un ribaltamento dell’animazione, svelamento di punti ciechi.
“il montaggio -scrive Didi-Huberman (2008, p.155) – separa le cose di solito unite e connette la cose di solito separate. Crea una scossa e un movimento”. 
Potremmo allora parlare dell’osservazione nello psicodramma come dis-posizione (nel senso di Didi-Huberman e Brecht) come esposizione nel doppio senso del termine –argomento discorsivo e disposizioni di immagini.
Nell’osservazione si tratta in qualche modo di un montaggio sì di immagini ma anche di parole, di significanti, di immagini acustiche.
La posizione delle parole nell’osservazione suppone una compresenza efficace e conflittuale, una dialettica fra molteplicità. La nuova posizione reciproca degli elementi del montaggio trasforma le cose ed è questa stessa trasformazione che mette all’opera un nuovo pensiero. Questo pensiero recide, disloca, sorprende, ma non assume alcun pensiero definitivo in ragione della sua natura sperimentale e provvisoria, nella misura in cui, nato da una pura trasformazione topica, si sa ricombinabile, di per sé modificabile, sempre in movimento e in cammino. Si trova sempre a un bivio.
Procedimento di interruzione che permette alle parti in precedenza molto distanti di intrecciarsi. Il materiale del montaggio “non smette di correre, di migrare da una temporalità all’altra” (Didi-Huberman 2009, p.155).
Che cosa mette in scena l’osservatore con la sua scrittura se non il susseguirsi di giochi drastici (Lemoine) sequenze accostate come nel montaggio delle attrazioni di Eizenstejn, scene scelte in un contro tempo che è il tempo logico del soggetto?
Se l’osservazione è montaggio che dis-pone senza ricomporre, nello psicodramma individuale essa dà voce alla storia del soggetto in una scrittura che non è narrazione.
La parola-pietra che permette la costruzione ma anche la demolizione delle certezze e delle evidenze, che riduce l’esistente in macerie, non per amor delle macerie, ma della via d’uscita che le attraversa (Benjamin W. 2008).
Grazie al montaggio che l’osservazione mette in atto, un modello precostituito di racconto e di temporalità -propria del discorso di seduta- si vede dislocato affinché ne venga estratta la conflittualità, la radice.
L’osservazione procede sgomberando, creando dei vuoti, delle sospensioni, degli intervalli che funzionano come altrettante vie aperte verso un nuovo modo di pensare la storia del soggetto e la disposizione delle cose (Didi-Huberman G. 2018).
La parola dell’osservatore recide, disloca, sorprende, ma non assume alcun pensiero definitivo “in ragione della sua natura sperimentale e provvisoria, nella misura in cui si sa ricominciabile, di per sé modificabile, sempre in movimento e in cammino, si trova sempre al bivio.” (Didi-Huberman G. 2018 p.59).

Bibliografia

Blanchot M. (1969) La conversazione infinita. Scritti sull’insensato gioco di scrivere. Einaudi Torino 2015

Bonazzi M. (2009) Scrivere la contingenza. Edizioni ETS, Pisa.

Celan P. (1983) La verità della poesia. Einaudi, Torino, 2008.

Didi- Huberman G. (2009) tr.it. Quando le immagini prendono posizione. L’occhio della storia I. Mimesis Edizioni, Milano, 2018

Duras M. (1993) Scrivere. Feltrinelli, Milano, 1994.

Focault M. (2011) Il bel rischio. Cronopio, Napoli, 2013.

Lacan J. (1956) “La lettera rubata”. In: Contri G.B. (a cura di), Scritti, Einaudi, Torino, 1974.

Lacan J. (1953) “Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi”. In: Contri G.B. (a cura di), Scritti. Einaudi, Torino, 1974.

Lacan J. (1966), “L’istanza della lettera nell’inconscio o la ragione dopo Freud”. In: Contri G.B. (a cura di), Scritti, Einaudi, Torino, 1974.

Lacan J. (1971), Il seminario, libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante. Di Ciaccia A. (a cura di), Einaudi, Torino, 1996.

Lacan J. (1971) “Lituraterra” in Altri scritti Einaudi, Torino 2013.

Pagliardini A. (2011) Jacques Lacan e il trauma del linguaggio. Gaalad Edizioni, Cosenza.

Trevi E. (2020) Due vite. Neri Pozza, Vicenza.