Dai congressi di psicodramma, in cui si vilipendiava la psicoanalisi, all’ultimo congresso di Zurigo in cui si ritenne necessario l’ascolto psicoanalitico, quanta strada si è fatta!
In ambiente francese tuttavia fin dall’inizio si dedicarono allo psicodramma persone di formazione psicoanalitica. Anche la nostra teoria -quella della SEPT (Société d’Etudes du Psychodrame Pratique et Théorique) – è basata sulla psicoanalisi. Tuttavia, lo psicodramma mantiene una dimensione specifica: il discorso del gruppo, la messa in gioco dello sguardo, la rappresentazione drammatica e la sua incidenza sulla guarigione rappresentano altrettanti concetti originali.
1. Il discorso del gruppo è il discorso dell’inconscio. Le parole dei partecipanti, anche se non hanno dei legami diretti tra loro, devono essere prese come risposte.
Una giovane donna che odia le donne che, per età, potrebbero essere sua madre (chiaramente anche la terapeuta) riceve da un uomo questa risposta: anche mia madre è morta, l’ho idealizzata. Benché non venga rivolta a lei, questa parola è da intendere come una riflessione sulla idealizzazione di cui è stata oggetto la madre da quando è morta. È verosimile che l’abbia odiata mentre era viva e che abbia rimosso questo ricordo. Analogamente, un’altra partecipante parla dell’odio che sente per la madre.
Il discorso del gruppo è un discorso dell’inconscio che differisce profondamente da quello della psicoanalisi. Propone un altro approccio, un altro tipo di analisi. In psicoanalisi nulla di tutto ciò sarebbe stato detto da un altro.
È utile tuttavia sottolineare che le risposte date in psicodramma non presentano pericoli per i pazienti. Ad esempio, la giovane donna di cui si è parlato comprende perfettamente ciò che viene detto sulla idealizzazione di una madre morta. Ma resta sorda all’odio portato ad una madre. Questo discorso può invece, in altri casi, essere illuminante. Ad una donna che si poneva il problema di sapere perché faceva al marito delle scenate odiose e sproporzionate alla rilevanza degli episodi in causa (ad esempio quando guidava a velocità troppo elevata), una delle partecipanti parlò dei propri atteggiamenti di rimprovero tutte le volte in cui non riusciva a formulare una richiesta sessuale.
Il discorso dell’inconscio opera quindi attraverso una via completamente diversa e ciò costituisce un primo aspetto della specificità dello psicodramma. Senza dubbio, il discorso di una psicoanalisi, a causa della maggior regressione che comporta il ripetersi di un numero più elevato di sedute, l’importanza del transfert su un terapeuta unico e silenzioso, e l’assenza dello sguardo, porta verso altre vie. Ma lo psicodramma, se può essere utile per quelli che potrebbero fare un’analisi, tratta anche casi per i quali la psicoanalisi non è indicata: la psicosi, ad esempio, e in una certa misura il bambino.
2. La situazione di gruppo mette in gioco lo sguardo e questo intervento della vista determina la natura del transfert. Quest’ultimo differisce dal transfert psicoanalitico per il fatto che la tendenza all’identificazione, (conseguenza del fatto che i membri del gruppo vedono), ne modifica la struttura e il contenuto. È un punto che Gennie Lemoine ha messo in rilievo fin dal 1965 in una relazione all’Ecole Freudienne di Parigi. Così il transfert in psicodramma sarà maneggiato tenendo conto dei livelli a cui opera.
a) A livello laterale, l’identificazione è debitrice verso la vista. È l’identificazione con il tratto unario: abbiamo osservato che il discorso del gruppo è fondato sulla concordanza di certi tratti. Ma questi tratti sono percepiti anche senza che intervenga alcuna parola.
Bisogna notare a questo riguardo quanto sia giusta la scelta degli io ausiliari. Una giovane donna, nuova del gruppo, scelse, per interpretare il ruolo della madre, una donna che, come sua madre, volle essere madre senza sposare il padre del bambino. Questa intuizione, concernente l’altra, stupisce. È dovuta allo sguardo. Ma è anche un punto di arresto dell’analisi, come lo è il transfert ul terapeuta in psicoanalisi: cioè questa intuizione deve essere, anch’essa, analizzata, è anch’essa una resistenza. Una resistenza propria allo psicodramma.
b) II transfert sul terapeuta poi rimane, come in analisi, un transfert sul soggetto supposto sapere (Lacan),più che un transfert identificatorio e, se l’identificazione si verifica, non può che esser stata incoraggiata dal narcisismo del terapeuta, cioè da un errore. La vista è più o meno squalificata a favore della regressione psicoanalitica. Questo spiega il fatto che in certi casi particolari l’effetto non possa essere equivalente a quello di una analisi. Marie-Noèl Gaudé e Henri Fromm hanno mostrato come una paziente fobica abbia potuto fare, in psicodramma, un vero e proprio spezzone di analisi (che d’altro canto l’ha spinta verso il divano). L’investimento molto intenso sulla terapeuta era accompagnato da un mediocre transfert laterale: la difesa fobica sembrava isolare la paziente dalla presa degli sguardi. È un caso estremo, ma che sottolinea un limite del transfert in psicodramma.
Il transfert oscilla quindi tra il transfert analitico e il transfert laterale, a seconda dell’importanza data dai partecipanti al terapeuta o ai membri del gruppo.
c) Con la recitazione, gli sguardi convergono su uno dei partecipanti. Il gioco modifica radicalmente le dimensioni temporali e spaziali del gruppo. Ciò che era racconto diviene azione, ciò che era immaginato è qui presente ; è in questo momento che si amplificano i sentimenti e che si attualizza, in un vissuto che mobilita il corpo, un atto del passato. La virtù della rappresentazione è tale da rendere attuale ciò che era solo evocato, da far rivivere dei personaggi assenti.
Il modello del gioco è, come ha mostrato Gennie Lemoine, il gioco del Fort-Da osservato da Freud sul nipotino. In quel modo avviene l’ingresso nel mondo del simbolo. Il nipotino di Freud aveva allora un anno e mezzo: quando la madre si allontanava, si assisteva ad una strana manovra durante la quale il bambino riprendeva un rocchetto (Da) che prima aveva buttato lontano (Fort): ritorno e lutto ( il rocchetto stava al posto della madre che andava e veniva ), frustrazione e controllo della madre erano di volta in volta rappresentati grazie al gioco. (1)
La caratteristica del gioco psicodrammatico è il ritorno, un ritorno su uno sfondo di assenza, su uno sfondo di lutto; ritorno e lutto sono necessari alla messa in atto della guarigione. In psicodramma è l’io ausiliare a prendere il posto del rocchetto. È l’assente che il protagonista fa ritornare. La differenza con il rocchetto sta nel fatto che l’io ausiliare risponde (e la sua risposta è decisiva): invece di una ripetizione tale e quale della scena, come con un rocchetto, le modificazioni apportate dall’io ausiliare costituiscono altrettanti motivi per assumere una distanza critica rispetto ad una situazione rivissuta. Ma, anche se costui si lascia permeare al punto che le sue risposte sono le stesse del personaggio di cui occupa il ruolo, il paziente realizzerà che è il proprio messaggio a ritornargli sotto una forma rovesciata, e che la ripetizione della stessa scena dipende dal suo atteggiamento anche se questa ripetizione sembra dovuta ad un altro.
Affinché il ritorno del passato conservi tutto il suo senso, conviene non permettere al paziente di deviare verso una qualunque scena “fabulata” (2). Far rappresentare ad una figlia la scena di ingiurie che lei non avrà mai il coraggio di rivolgere alla madre non costituisce in alcun modo un mezzo per portarla a fare il lutto della relazione che ha avuto con lei: non si tratta in questo gioco del ritorno della madre vera ma di una madre sperata. Stessa cosa se si fa rappresentare a qualcuno una scena inventata, come in un gioco infantile. Non è importante ciò che avrebbe potuto essere ma ciò che è stato, ciò che ha potuto costituire un avvenimento nella vita del soggetto.
d) Si fa il lutto solo di ciò che è stato. Nell’adulto non è più tanto il piacere di giocare come nell’infanzia, che ha effetto, quanto la simbolizzazione e l’analisi del lutto. I partecipanti non lo sanno, ma il terapeuta lo deve sapere, deve sapere dove sta portando il paziente.
Questo è il prezzo se vuoi sperare di guarirlo. Per illustrare questo punto, ricorderò l’ultima seduta di una paziente. Non aveva mai fatto analisi. Era venuta con una équipe di psicologi e di psichiatri (che erano stati divisi in gruppi diversi) per cercare di acquisire un linguaggio comune, quello della SEPT. Scoprì di essere entrata in psicodramma per fare il lutto del padre. Il pomeriggio le era balenato in mente: “Si tratta della mia ultima seduta, ma non voglio andar via come mio padre senza preavvertire”. Suo padre era morto quando lei si era assentata. La paziente disse che negli ultimi tempi sentiva che qualcosa in lei si era sbloccato, faceva molti sogni. La notte precedente, dopo che in sogno veva litigato con il marito riguardo ad un’avventura di quest’ultimo, le era apparso il padre con uno sguardo tristissimo.
Quando questa paziente rappresenta la scena del sogno (3), viene scelto il terapeuta e lui solo mimerà questo scambio di sguardi; lei non potrà rispondere. Ma questo tentativo di messa in opera fa risorgere il ricordo di un altro lutto: sua madre morta quando la paziente aveva dieci anni, A questo punto le ritorna in mente il dolore del padre. Ritrova, rappresentando questa seconda scena, la sofferenza che provava allora di fronte a quest’uomo sconvolto ed è commossa da questa pena. Era anche quella del sogno.
Il lutto che si compie in psicodramma non ha, come si vede, nulla di un oblio: grazie al ritorno del passato si fa piuttosto la pace con colui di cui si portava, senza saperlo, il desiderio.
Conclusione
Senza dubbio si sarà notata in quest’ultimo esempio la dimensione transferenziale sul terapeuta. Il transfert sul terapeuta non è mai assente dalla cura, nella misura in cui la parola porta il sapere e in cui il terapeuta assume questo sapere. Ma ciò non toglie nulla, nella messa in moto del discorso di gruppo e nella scelta degli io ausiliari, all’importanza del transfert laterale. Si è anche visto che la dimensione del ritorno è legata al lutto e che il lutto è inerente al gioco. Lo psicodramma acquista la sua dimensione specifica proprio mediante il gioco, mediante il ritorno su uno sfondo di assenza. La sua invenzione è dovuta a Moreno, ma l’ascolto dell’inconscio resta la scoperta di Freud. Una teoria psicoanalitica dello psicodramma ci invita a trarre profitto da entrambi.
(1 ) Cfr. S. Freud, Al di là del principio del piacere (1920) in Opere, Vol. 9, Boringhieri, Torino.
(2) Cfr. il capitolo “Le scene fabulate”.
(3) Consideriamo il sogno come un avvenimento dell’inconscio.