ARTICOLO – “La pulsione scopica” di Paul Lemoine

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Nell’articolo ‘Le réel et l’imaginaire dans les groupes’ avevo cominciato a illustrare una teoria della formazione basata sull’identificazione, sostenendo che per diventare psicodrammatista occorre superare la prova, in qualche modo iniziatica, consistente nel percepirsi, sotto lo sguardo altrui, diversi, altro, da quello che si vorrebbe essere. In questo modo, già risultava sottolineata l’importanza della funzione scopica, che Gennie Lemoine ci ha mostrato in che cosa sia profondamente legata all’identificazione. Affermavo pure che nello psicodramma gli atteggiamenti di prestanza legati all’Io ideale — si basano su un’identificazione ideale dell’Io. Nel casa di Bertrand per esempio, facendo prendere coscienza al soggetto degli aspetti faticosi e disagevoli di un atteggiamento compensatone che mimetizzava la sua angoscia — con l’identificazione in un ideale di eroe —, gli veniva rivelato ciò che in tal modo si nascondeva: un’altra identificazione, ben più inconscia, con il genitore castrato del suo stesso sesso, identificazione rifiutata dal soggetto perché avrebbe aperto la strada al riconoscimento della propria castrazione. Veniva raccontato come in questo caso lo smantellamento dell’identificazione ideale in un antenato nobile — e, al livello del Super—Io, in una nonna autoritaria — aveva condotto il soggetto maschile a riconoscersi identico a un padre debole. Così, allorché l’atteggiamento di copertura cade, la rivelazione porta molto lontano chi, volendosi nascondere agli altri, si è nascosto innanzitutto a se stesso. Il fatto di rivelarsi diversi da quello che si vuole sembrare, fa si che non ci si veda più nella stessa maniera. Questo smascheramento della propria immagine è un’esperienza penosa (ed è in questo senso che si tratta di un’esperienza iniziatica), eppure costituisce ima prova indispensabile che il futuro terapeuta deve superare. Se egli infatti non è cosciente delle proprie identificazioni, come potrà allora scoprire la castrazione altrui?

Poiché l’identificazione si presentava come primordiale, abbiamo ritenuto per un momento die nello psicodramma non si potesse andar oltre l’Edipo, e che la pulsione non producesse niente altro che le figure familiari già fortemente elaborate. Di fatto l’inconscio vi si ritrova non solo sotto forma dei ricordi infantili repressi, ma anche come fantasma. Così l’accettazione della castrazione non sarebbe che una tappa nell’approfondimento della mancanza a essere del terapeuta.

Tale approfondimento, consistente in un’analisi del desiderio, si opera grazie al transfert, e questo rappresenta un aspetto particolare del rilievo della funzione scopica. La coincidenza con un gruppo terapeutico si realizza nello psicodramma grazie all’identificazione degli uni negli altri per mezzo dello sguardo. E’ dunque un legame fisico che deve sostenere il transfert, come si verifica in un discorso collettivo, in un discorso di gruppo. Nello psicodramma, ciò che il transfert fa emergere sono, oltre ai ricordi consci, i ricordi repressi e i fantasmi inconsci. Non siamo lontani da : quella regressione del sogno che Freud dice rappresentare la via regia all’inconscio. Perno da parte nostra attribuiamo una grande importanza ai sogni da transfert narrati nello psicodramma. Vedremo ora quanto essi siano caratterizzati dalla dimensione scopica.
Soltanto ti pensieri di desiderio, ci dice Freud ne ‘L’interpretazione dei sogni’, subiscono la trasformazione in immagini, ciò che costituisce una regressione perché essi sono “in intimo rapporto con i ricordi repressi o rimasti inconsci”. Far rappresentare un sogno significa dunque andare alla scoperta dei pensieri da cui ha origine il transfert. Perciò nel corso dei seminari di psicodramma che durano due giorni dobbiamo dare molta importanza ai sogni fatti durante la notte che separa una giornata dall’altra.
Ne è esemplare questo sogno, fatto tra la seduta della vigiliate quella del primo giorno di un seminario:

‘Ero con mio padre e tutto a un tratto non vedevo più bene, come se fossi affetta da strabismo. Stavamo in compagnia, andavamo a messa. Dicevo a mia madre che bisognava tornare urgentemente a Parigi. Mia madre mi diceva ché questo non avrebbe influito sull’eventualità di perdere la vista. Mi arrendevo alla sua evidenza: era domenica, non si sarebbero trovati specialisti a Parigi. Era urgente che io vedessi chiaro’.

Questo sogno è interessante per vari motivi, ma innanzitutto perché è il sogno di un terapeuta in formazione. Esso si rivolge al gruppo come un enigma ma contiene tutto quello che può essere detto sulla funzione scopica nello psicodramma. L’importante è vederci chiaro, dice il sogno. Thérèse allude in questo modo alla duplice azione dello psicodramma, che opera sia attraverso la riunione in un gruppo che guarda, generando il gioco, per mezzo del suo sguardo, che attraverso l’analisi di quel che succede. In questo sogno Thérèse si identifica inizialmente con la madre cieca: diviene lei stessa cieca al fianco del padre. Ma da molto tempo l’occhio ricopre in questo Edipo un desiderio diverso da quello edipico per il genitore di sesso opposto, un desiderio di seconda vista. Dunque la forma edipica così appariscente in questo sogno nasconde in effetti la pulsione scopica: volendo vedere, Thérèse rifiuta l’identificazione materna e se ne libera per vedere da veggente. Siamo ben oltre l’Edipo. Questo oggetto scopico, la gioia die esso procura sono presentati come dò che per Thérèse fonda il desiderio di terapeuta. Mentre l’effetto fascinatorio della visione è ciò che determina in lei la cesura essenziale e fa del vedere un oggetto separato, è al contrario sul terreno della castrazione, cioè dello sguardo, che l’occhio acquisisce la sua funzione conoscitiva e non illusoria. In questo sognò Thérèse distingue tra vedere e guardare: è in questo che lei è terapeuta.
E’ così nella dimensione scopica che si sviluppa l’analisi del discorso, dal momento che lo psicodramma è innanzitutto gioco cioè rappresentazione. E’ il gioco che rivela quel che non sì vede fuori della commedia. Quando per esempio una partecipante sceglie una donna per far recitare il ruolo di suo marito, si trova allo stesso livello inconscio di un sogno. La sua intenzione, che prima del gioco era anodina, a questo punto si chiarisce: “Mio marito è bello, dice una paziente, ma non come quegli uomini che pubblicizzano gli slip Eminence sulle riviste”. Uno dei partecipanti osserva a questo punto che a lei non piace quello che c’è dentro gli slip, dal momento che ha scelto ima donna. In questo modo le lancia uno sguardo da terapeuta: egli non fa che vedere, egli percepisce, realizzando, anche lui, la distinzione tra guardare e vedere.

Nello psicodramma è lo sguardo comune del gruppo che conduce il soggetto a distinguersi tra quello che è e quello che sembra essere. Se il soggetto non ci rivelasse nient’altro che una maschera, si troverebbe come in un gruppo reale in una relazione d’amore in cui, quando si offre allo sguardo, si presenta sotto l’aspetto di maschio e di femmina. Nello psicodramma, per la relazione del transfert, il vedere, che nei gruppi reali fornisce un alimento al desiderio sessuale, è rimpiazzato dallo sguardo che individua la falla e mette in luce il desiderio solo pei sottolineare la mancanza, vale a dire ciò che divide il soggetto. Nell’esempio fatto si tratta del rapporto di questa donna con la mancanza tipica del genere femminile.
Assistere a quello che si svolge, allo stesso modo in cui si interpreta un sogno non è che un inizio. Perché il terapeuta, se vuole diventare padrone del suo strumento, deve saggiare tutta l’estensione del campo scopico in cui si svolge l’esperienza dello psicodramma. Deve così prendere coscienza del posto che occupa e dell’importanza del suo sguardo.
E’ importante il fatto che la persona del terapeuta non risalti nel campo visivo del partecipante. Infatti se gli si porcà di fronte, il terapeuta gli impedirà di svolgere il suo discorso davanti al gruppo e il soggetto non si rivolgerà più die a lui; si trascurerebbe in tal caso la dimensione del transfert laterale e ben sappiamo quanto sia importante per il soggetto lo sguardo che i testimoni del gruppo gii rimandano. Esiste una giusta distanza; perché il transfert funzioni, il terapeuta deve spesso mettersi alle spalle del soggetto e persino dietro il gruppo, come se si trattasse di un paziente in analisi, a meno che non pensi di doppiarlo per enucleare il senso del discorso. Questo concetto di ‘schermatura’ della vista è importante. Quando in un gruppo silenzioso il terapeuta si alza in piedi e cammina per la stanza, qualcosa cambia e si incomincia a parlare.
Ma può essere necessario che il soggetto incroci il suo sguardo con quello del terapeuta, che il terapeuta divenga visibile ponendosi ai fianco del partecipante, anche se a distanza. Il suo sguardo non rimanda allora al soggetto la sua immagine, ma la attraversa. Questo sguardo, ha scritto Gennie, non è quello del vedere, rappresentato dalla madre nella fase dello specchio e che unifica, ma uno sguardo che rende significante. Il terapeuta guarda altrove allo stesso modo in cui l’analista capisce altro.
Questo è l’aspetto per così dire topologico dell’utilizzazione della dimensione scopica da parte del terapeuta.

La differenza essenziale tra l’analisi e lo psicodramma passa dunque per lo sguardo.

Nei suo apologo dei tre prigionieri, Lacan mostra come lo sguardo permetta di inferire il discorso dell’altro in quanto il suo corpo lo tradisce: abbozzando un gesto il prigioniero esprime un’intenzione e ciò permette agli altri due prigionieri di presentarsi contemporaneamente a lui alla porta della prigione per essere liberati .

Questo elemento di sorpresa fa della vista uno strumento terapeutico di rivelazione, di prova irrefutabile.

Può essere interessante parlare a questo punto dì ima paziente che, prossima a perdere la vista, non poteva sopportare questa anticipazione dall’altro per mezzo dello sguardo. Ella non si vedeva vedere: il carattere penoso della sua presenza cieca assunse una dimensione angosciosa il giorno in cui una persona, da lei conosciuta come animatrice in un gruppo precedente, entrò in.qualità di partecipante nel gruppo di cui lei faceva parte: “Ciò che debbo dire, voglio poterlo dire io stessa; mentre Renée conosce su di me, sulla mia famiglia, particolari che voglio essere io sola a rivelare”. Era contro la minaccia delle anticipazioni altrui che questa paziente si ribellava, tanto più che i punti di riferimento visivi stavano per mancarle. “Non voglio essere violata”; in questo modo lei esprimeva una paura che si riscontra spesso nelle donne all’interno dei gruppi, senza dubbio in relazione col rapporto che la donna deve subire rispetto al desiderio dell’uomo.

Si comprenderà meglio questa paura dell’anticipazione, tenendo presente che la paziente era nata da genitori divorziati fin dalla sua nascita e che questo divorzio era un segreto che lei aveva dovuto difendere fin dall’età di sei anni allorché, essendo stata affidata a un collegio religioso, dovette nascondere a tutti la sua condizione di figlia di divorziati. Da bambina non poteva nemmeno accettare gli inviti delle sue amichette, per paura che, dovendoli ricambiare, si rivelasse loro la sua vera situazione familiare. Questo ricordo è senza dubbio lo schermo di avvenimenti anteriori e di frustrazioni di cui la scena primaria costituisce il fantasma traumatico originario. Questa seduta è però troppo recente perché si siano potuti meglio individuare i nessi di questo fantasma traumatico originario. Questa seduta è però troppo recente perchè si siano potuti meglio individuare i nessi di questo fantasma.

Si sa infatti che attraverso i fantasmi si svela la struttura, cioè la relazione che un soggetto intrattiene con l’oggetto delle sue pulsioni. Nello psicodramma tutto questo è subito percepito attraverso la parte visibile; è attraverso di essa che si Inferisce ciò che sta al di sotto dell’iceberg. Questo oggetto resta così allo scoperto. E* un oggetto orale per l’isterica ed è nulla, il nulla dell’anoressica mentale, il nulla dello svezzamento, l’esclusione del solido. Così, dal momento che nulla viene a colmare la mancanza di questa partecipazione cieca, dal momento che il desiderio abita sempre l’altro, il suo rimane insoddisfatto a meno che non assuma nel gruppo la funzione di fallo. Così è evidente che a lei piace farsi vedere e sedurre. L’oggetto anale dell’ossessivo è intercambiabile, circola nel gruppo ma sfugge al controllo del soggetto. La parola acquista il suo statuto escrementizio: una volta eliminata non vi è più alcun soggetto che possa risponderne (7). Cosi quando il partecipante assume nel gruppo un atteggiamento da padrone (come Bertrand, il soggetto nobile di cui ho parlato all’inizio), è per tentare di arrestare questa fuga incessante da una vita che non si arriverà più a governare nemmeno nella morte.
Ciò che emerge nello psicodramma permette dunque al terapeuta di inferire ciò che non è visibile. Michèle Montrelay, al congresso dell’Ecole Freudienne di Parigi, ci ha mostrato che ogni pulsione ha il suo campo e si estende in un ambito limitato che ne ricopre il campo dell’altro — vedere non è intendere né mangiare. 11 riconoscimento della struttura attraverso la maniera di mostrarsi al groppo permette di orientarsi circa il modo in cui è vissuto il fantasma fondamentale. Lo sguardo del terapeuta dunque vede dal disotto ciò che non appariva alla vista; è la sua doppia vista; in questo modo l’immagine che restituisce al discorso i ricordi repressi o inconsci, li trasforma in parole.

Formare uno psicoterapeuta significa insegnargli a guardare, ma anche a parlare. Ciò die egli vedrà sono, soggiacenti all’immagine, i desideri repressi o i fantasmi inconsci, la mancanza che li determina. E’ in se stesso che il terapeuta ritrova questa mancanza ed è innanzitutto sulla sua scena interiore che ha luogo la rappresentazione. Così egli deve essere Consapevole della propria scissione. E’ allora che egli vedrà l’assente sotto il presente, il nascosto sotto il visibile. Vedersi nello sguardo dell’altro è questo.

(Trad. di Gabriella Nicastro)